Alessandro Butticè: “Io, l’Italia e l’Europa. Pensieri in libertà di un patriota italiano-europeo”

BRUXELLES – Un libro per chi sono…europeisti?

Intervista di Paola Pacifici

Salvatore Scino, sul campo, in Perú, con l’Operazione Mato Grosso, cui il Generale Butticé dona i proventi dalle vendite del libro

“IO, l’Italia e L’Europa” quando e perché decidi di fare questo libro?

Alla fine del 2022, sulla base del successo ricevuto da parte dei lettori dei miei «pensieri in libertà», pubblicati su diversi media dal momento che ho lasciato il servizio attivo presso la Commissione europea, nell’aprile del 2018, ho accolto il suggerimento ricevuto da alcuni amici di raccoglierne alcuni in un libro. Il cui filo conduttore, dopo i primi capitoli autobiografici, che spiegano chi sono, é quello del tempo. Devono essere infatti contestualizzati alla data della loro pubblicazione. Ed il punto di vista è quello di un “patriota italiano-europeo”, quale mi considero – e nel libro ne spiego il perché -, che guarda l’Italia con occhi europei, e l’Europa con occhi italiani. La ragione principale di questa scelta é stata il mio timore che i giovani, oltre ai meno giovani, non si rendano conto del regalo che la mia generazione ha ricevuto dai nostri padri e nonni. Quello di un’Italia ed un’Europa libere, democratiche, in pace, custodi dei diritti umani. Unica zona al mondo dove non esiste più la pena di morte, tanto per fare un esempio. Cose che oggi si dimenticano e si danno troppo per scontate. Mentre scontate non lo sono affatto. Perché Italia ed Europa ci hanno messo secoli per conquistarle. Mentre basta un attimo per perderle. Ululando alla luna, come fanno alcuni pifferai magici, che si limitano solo a indicare il bicchiere mezzo vuoto. Dell’Italia e dell’Unione Europea.`Con il mio libro voglio quindi ricordare ai miei lettori, e soprattutto ai giovani, che hanno il dovere di guardare anche il bicchiere mezzo pieno, e difendere queste conquiste. Spiegando perché, nel XXI Secolo, non ci si può definire patriota italiano senza essere anche patriota europeo. Ma anche essere un patriota europeo non significa essere un acritico “europeista da piedistallo” e “radical chic”, che non tiene i piedi per terra. Come essere patriota italiano non significa essere sovranista o nazionalista. Ho cercato anche di spiegare, seppure prima di sapere dell’esistenza del mio più giovane collega dell’Esercito, il generale Roberto Vannacci, che si puó parlare di “mondo al contrario” nel rispetto di tutti i diritti e i doveri sanciti dalla Costituzione, senza dimenticarsi del “sistema giustizia” scoperchiato da Luca Palamara. Che io tratto nel mio libro senza ipocrisia. Ho voluto a questo proposito raccontare com’è vista dall’Europa la giustizia italiana, e perché, a mio modesto avviso, su di essa dovrebbe accendersi un faro europeo. Così come ho spiegato le ragioni per le quali si può essere fieramente italiani ed europeisti, senza essere identificati come inaffidabili frodatori, o adepti della tecnocrazia delle élites. Senza chiudere gli occhi di fronte a diverse criticità. Come, solo per fare un esempio, quella che vede l’Italia spendere moltissimo per la vigilanza delle frontiere esterne dell’Ue, ma incassare meno, a rimborso delle sue spese, dei piccoli Paesi Bassi.

Il Generale con l’avvocata Cristina Adducci, Sonya Di Sarli, e Veronica Miccinilli dello Sportello Anti Stalking del Codacons, al quale vanno i proventi del libro

È un libro con tematiche uniche e con scopi benefici che fino ad oggi nessuno  ha mai editato?

Non sta a me rispondere a questa domanda. È vero però che molti lettori e critici mi hanno manifestato la loro positiva sorpresa per avere letto cose, che a me sembrano scontate, che per loro hanno rappresentato delle novità, raccontate da una prospettiva che hanno definito originale. I proventi delle vendite destinati a me quale autore, ho deciso di dedicarli interamente a due opere che mi stanno moltissimo a cuore. L’Operazione Mato Grosso e lo Sportello Anti-Stalking del Codacons. L’ho fatto nello spirito del volontariato, anche istituzionale, e del mio essere oggi giornalista ed editorialista. Perché, pensando al futuro dei miei quattro nipoti, mi chiedo sempre cosa posso continuare a fare per le mie due Patrie: l’Italia e l’Europa. Dopo averle servite per oltre quattro decenni di carriera. Piuttosto che chiedermi cosa posso ancora ottenere da loro. Ed è stata una scelta facilitata dal mio “coraggio di sapermi accontentare”, di cui parlo all’inizio del libro. Prima di dedicare un intero capitolo a due esempi di chi  – un generale ed un magistrato-, questo coraggio, ai miei occhi, ovviamente, non hanno dimostrato di possederlo.

Quanta Italia è in Europa e quanta Europa è in Italia?

Più di quanto molti possano immaginarsi. L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Unione europea. E non è solo un dettaglio storico. Gli italiani sono amati in tutta Europa, anche se non sempre molto apprezzati e stimati per la loro affidabilità. Ma l’Europa ha preso moltissimi insegnamenti dall’Italia, esportandoli nel resto del continente. Più di quanto, chi non mette spesso i piedi fuori dei nostri confini, possa immaginare. E non solo in tema di enogastronomia, di arte, di cultura, di musica. Ma anche, sembrerà strano, in materia di lotta alla corruzione ed alla criminalità organizzata. Nella speranza, tuttavia, che gli altri Stati Membri, in questi campi, nei quali ho qualche esperienza, sappiano sempre scegliere gli aspetti più positivi, e non anche quelli deleteri. Per prevenire di patire i mali di cui ha già sofferto il nostro Paese. Con troppi “professionisti” dell’antimafia e dell’anti-corruzione, che non sempre incarnano i veri valori della lotta alle mafie ed alla corruzione. L’Italia ha pure preso molto dall’Europa. Pensiamo alla regolamentazione del mercato finanziario, assicurativo, o alla tutela dell’ambiente. Materie che, prima della legislazione europea, e dell’entrata dei paesi scandinavi, da sempre molto sensibili all’ambiente, in Italia erano trascurate. A discapito della qualità della nostra vita, delle nostre meraviglie naturali, ed anche dei diritti dei consumatori.

Bisognerebbe cambiare l’Italia o l’Europa e /o tutte e due, e in che cosa?

Bisogna cambiare innanzitutto la testa di molti cittadini. Che, pensando solo a chiedere sempre più diritti e servizi, sia dallo stato che dall’Unione europea, dimenticano i doveri che hanno verso queste due entità. Portati a guardare sempre e solo la parte mezza vuota del bicchiere, e non anche quella mezza piena. E nelle loro proteste senza proposte concrete, rischiano di buttare il bambino assieme all’acqua sporca. Che evidentemente esiste. Sia per quanto riguarda l’Italia che per l’Europa. Perché sono entrambe rappresentate da una classe politica e dirigente che non è altro che lo specchio, nel bene e nel male, di coloro che l’hanno eletta. Quindi, si`, è ovvio, e ne parlo anche nel mio libro, che sono tante le cose da cambiare, sia in Italia che nell’Unione europea. Ma le grandi rivoluzioni nascono sempre da noi stessi. E noi stessi siamo i cittadini dell’Italia e dell’Europa che vorremmo e dobbiamo cambiare. Contribuendo a migliorarle, non certo a distruggerle. Se non vogliamo essere maledetti dai nostri posteri. Che rischiano di non ricevere in eredità da noi il regalo che, al prezzo del proprio sangue, ci hanno offerto padri e nonni. Un’Italia libera, democratica, e indipendente. Ed un’Europa, per la prima volta nella storia, unita e basata sullo stato del diritto, nella pace e nella cooperazione sovranazionale.

Che cos’è il “patriottismo”? Ce ne vuole di più?

“Il Patriottismo” ‐ come diceva Charles De Gaulle, che era un grande patriota ‐ “è quando l’amore per la tua gente viene per primo; nazionalismo quando l’odio per quelli non della tua gente viene per primo». Personalmente non vedo davvero nessun amore per la nostra gente in quei politici che istigano a mettere continuamente le dita negli occhi di coloro cui si chiede solidarietà e comprensione per i nostri limiti. “L’amore per la nostra gente che viene per primo” dovrebbe invece farli tifare per il raggiungimento a qualunque prezzo – compreso quello del consenso elettorale di breve periodo ‐ di un risultato che permetta, grazie al sostegno dell’Ue, e con essa, ad esempio, di paesi come la Germania e l’Olanda, ad uscire dalla nostra crisi economica e sociale, attanagliata ad un debito pubblico mostruoso. Senza dare l’idea ai sovranisti dei cosiddetti paesi “frugali” di volerne approfittare per europeizzare il nostro debito, senza neppure un minimo impegno di maggiore virtù nella gestione delle nostre finanze pubbliche, pur possedendo i risparmi individuali più alti d’Europa. Virtù che i tedeschi, e gli altri calvinisti nordici, per i quali la parola debito è letteralmente sinonimo di peccato, non ritrovano mai sui nostri giornali, né nelle accuse reciproche del dibattito politico italiano. Dove è abitudine fare sguaiatamente volare gli stracci. In questo quadro, al di là dei possibili reati che possono rischiare di commettere, mi chiedo quale sia la logica dichiaratamente patriottica, e cioè basata sull’amore vero per la propria gente, nell’iniziativa di alcuni, nel 2020, in piena pandemia, di spingere i cittadini addirittura a bruciare pubblicamente la bandiera europea, dopo averla provocatoriamente ammainata e tolta da alcuni edifici pubblici, e persino dall’ufficio di un Vicepresidente della Camera dei deputati. Il tutto seguito con l’abituale diffusione virale del video. Quindi, sì, c’è bisogno di maggiore patriottismo. Italiano ed europeo. Ma, soprattutto, c’è bisogno di maggiore patriottismo consapevole ed intelligente.

I giovani e l’Europa?

I giovani sono il futuro, ma anche il presente, dell’Europa. I giovani, più dei dinosauri della mia generazione, sono nati e vivono in un’Europa aperta. Dove possono circolare liberamente. Ed andare a studiare e lavorare dove hanno le migliori possibilità. Trattati esattamente come i cittadini di quei Paesi. Purtroppo, l’Italia non è paese attrattivo per i giovani. Salvo per qualche studio e, ovviamente, per delle bellissime vacanze. Ma i nostri giovani, e quelli con maggiore potenziale, hanno grandi possibilità di crescita in altri Paesi Ue. Dove possono circolare liberamente. Ma quello che a loro sembra una cosa naturala, come pare naturale avere la stessa moneta nella maggior parte dei paesi europei, è qualcosa che può finire in un attimo. C’è chi vuole ripristinare le frontiere interne, e persino parla di tornare alla lira! Rubando il futuro ai nostri giovani. E ci vuole davvero un attimo, se non si ha il patriottismo intelligente di cui parlavo prima, per fare disastri epocali. E chi non ci credesse, lo vada a chiedere ai giovani del Regno unito. Cui una classe politica insensata, della mia generazione, ha rubato il presente ed anche un lungo futuro.

Le diverse tradizioni, le diverse culture nei e dei Paesi in Europa, quanto sono importanti per la nostra vita privata e sociale?

Sono molto importanti. Perché personalmente credo nell’Europa unita, ma nel rispetto delle differenze e delle tradizioni nazionali, regionali, locali. Da amante della tavola, a cominciare da quelle gastronomiche, ma non solo. Per amare l’Europa bisogna uscire da essa. E rendersi conto delle stupende bellezze che custodiamo, e non solo in Italia, in un piccolo ma meraviglioso continente. I cui singoli stati, regioni, comuni, devono conservare le loro millenarie tradizioni. Comprese le loro lingue. Ma devono sapere continuare ad essere uniti nei valori fondamentali, che sono la pace, la libertà, la sicurezza, la giustizia e lo stato di diritto. Con un’Europa che deve essere capace di trasferire e condividere le migliori pratiche da un paese all’altro, applicandole però, con intelligenza, alle realtà locali. Che possono essere molto diverse tra loro. Non meno, e talvolta neppure di più, delle differenze esistenti tra il Friuli e la Calabria, o la Lombardia e la Sicilia. Questa è l’Europa unita in cui credo, e per cui mi batto. Difendendo anche la lingua di ciascuno. Ed in questo l’intelligenza artificiale renderà sempre meno un ostacolo le differenze linguistiche. Oggi tutti possono comunicare tra loro in forma scritta, grazie a sistemi di traduzione automatica avanzatissimi. Presto sarà possibile anche a livello verbale. Senza escludere, ovviamente, l’apprendimento di lingue straniere. E l’utilizzo dell’inglese (anche se io preferirei il francese) come lingua franca. Al pari del latino per tanti secoli.

Generale della Guardia di Finanza in congedo, e Presidente della Associazione Nazionale Finanzieri Italiani a Bruxelles?

Come spiego all’inizio del libro, ho avuto una vita professionale fortunata, forse anche privilegiata. Da ragazzo avevo tre passioni e tre desideri per il mio futuro. Esitavo tra il giornalismo, la carriera militare e quella diplomatica. Ho avuto la fortuna ‐ aiutata forse in parte anche da qualche merito e sacrificio personale ‐ di riuscire a soddisfare tutte e tre queste passioni. Dopo essermi congedato anticipatamente dalla Guardia di Finanza, nel 2014, ed avere ottenuto il grado di Generale, scegliendo di restare alla Commissione europea ‐ e rinunciando alle possibilità di altre promozioni e importanti incarichi, qualora fossi rientrato in Italia – dopo aver raggiunto da tempo il quattordicesimo grado (AD14, su un massimo di sedici) della funzione pubblica europea, mi sono privato della possibilità di poter forse salire anche sugli ultimi due gradini. L’ho fatto con grande serenità e senza alcun rimpianto. Perché nella carriera professionale, come nella vita, ho sempre privilegiato il viaggio rispetto alla meta. Divertendomi molto più nell’impegno a lasciare sempre una traccia del mio passaggio e della mia opera. Come mi raccomandò un mio vecchio e valoroso comandante, il Generale Salvatore D’Amato. Piuttosto che nel raggiungimento di una più alta posizione gerarchica. Ed è stato un metodo che, grazie anche alla buona sorte, non mi ha neppure privato della soddisfazione di raggiungere posizioni di alto livello, in ben due prestigiose carriere parallele. Nel 2014, assieme ad altre valorose Fiamme Gialle europee, diverse delle quali avevo reclutato, o contribuito a reclutare, io stesso a Bruxelles, ho creato l’unica sezione all’estero dell’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia. Quella di Bruxelles-Unione Europea. Della quale sino al 2024 sono stato, per due mandati consecutivi il Presidente. Presidenza che, come previsto dallo Statuto, spero lasciare quest’anno ad un successore.

I giovani finanzieri oggi sono?

I giovani finanzieri oggi sono tra “la meglio gioventù”, se mi si consente la citazione di un bellissimo film, del nostro Paese. Sono giovani che hanno scelto di servire in uniforme il nostro Paese. A difesa delle nostre libertà fondamentali, della legalità e delle frontiere che, tranne una piccolissima parte, sono frontiere esterne dell’Unione europea. Sono tra gli appartenenti alle forze di polizia più apprezzate d’Europa, e non solo. Per la preparazione, unita allo status militare, che consente alla Guardia di Finanza di essere un corpo di polizia e militare modernissimo. Preparato anche alla drammaticità dei tempi che stiamo vivendo. Dove le minacce esterne sono sempre più ibride, e dove le guerre, prima che sul terreno, si combattono sul web e sul mercato economico-finanziario. Ed i finanzieri sono la migliore risposta organizzativa, invidiata da molti Paese, che non hanno i 250 anni di storia della Guardia di Finanza, per fronteggiare tali complesse minacce. Minacce esterne di guerre tradizionali che si intersecano con quelle della criminalità organizzata e transazionale. Sono quindi un orgoglio nazionale. Ma anche un modello dell’Europa della legalità contro l’internazionale del crimine.

Un messaggio agli italiani che vivono all’estero come te e che rappresentano l’Italia con orgoglio- E nella tua vita quanta Italia c’è?

Gli italiani che vivono all’estero come me sanno che non devono sforzarsi di apparire intelligenti, simpatici, e persino dei latin lovers. Se mi si permette la battuta. Perché sono qualità che agli italiani vengono date per scontate. Anche quando, individualmente, non lo siamo affatto, pur beneficiando dello stereotipo. Sanno, però, che devono lavorare è sforzarsi più di un tedesco o di uno scandinavo per essere considerati affidabili, seri, lavoratori e, soprattutto, onesti. Perché in questo siamo vittime di stereotipi negativi. Che, come tutti gli stereotipi, sono ingiusti, ma hanno sempre un fondo di verità. La mia vita è tutta fatta di Italia, perché sono “un italiano vero”, anche se da quasi trentaquattro anni vivo la maggior parte dell’anno all’estero. Ma proprio per questo, tra alcuni limiti della mia tolleranza, che pur coltivo da sempre verso tutto e tutti ‐ senza alcuna distinzione di genere, razza, religione, posizioni filosofiche, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, nazionalità o altro – per i quali mi scuso con il lettore in esordio del mio libro, vi è quello per i “cialtroni di Pulcinellopoli”. Non se ne abbiano i napoletani! Perché il concetto non ha alcuna connotazione regionalistica, e tanto meno è riferita alla patria della maschera di Pulcinella. Quella Napoli che invece elogio in un capitolo (Vedi Napoli e poi vivi). Per me è l’Italia, che va “Da Trieste in giù”, secondo il celebre ritornello canoro della grande Raffaella Carrà, di “esseri volgari e spregevoli, arroganti e poco seri, trasandati nell’operare, privi di serietà e correttezza nei rapporti personali, o che mancano di parola nei rapporti di lavoro”. Esseri il cui comportamento viene definito, dall’enciclopedia Treccani, come cialtroneria. E l’Italia della cialtroneria, che spesso diventa uno stereotipo internazionale, che danneggia i tanti italiani con la schiena dritta che rendono grande il nostro Paese nel mondo, mi provoca allergia. La stessa allergia che provo quando riscontro un simile atteggiamento ad ogni altra latitudine. Perché l’Italia non ne ha certo, al di là degli stereotipi, l’esclusività. In quanto Pulcinellopoli può albergare in tutta Europa e nel resto nel mondo. E, ovunque essa si trovi, ho difficoltà a mascherare l’irritazione che mi provoca.

Il Generale Alessandro Butticè (in congedo) col Vicepremier e ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani, alla commemorazione dei minatori italiani deceduti nella tragedia di Marcinelle, in Belgio.
Il Generale Alessandro Butticé, al centro, con il capo ufficio stampa e comunicazione del Parlamento Europeo in Italia, Fabio Di Stefano, e Antonia Varini, conduttrice di Uno Mattina, alla presentazione del suo libro alla Camera dei Deputati
L’Avvocato Giusi Fanelli, Assessore alla Cultura del Comune di Vibo Valentia
Da sinistra verso destra: Fabio Di Stefano (Parlamento Europeo), Robero Rossi (Vice Presidente Ordine Giornalisti Lazio), Prefetto Francesco Tagliente, Paolo Di Giannantonio (RAI), Mario Adua (OperazioneMato Grosso), Alessandro Butticé, Franco Bucarelli, Lorenzo Pisoni (Associazione Stampa Romana), Generale Gerardo Restaino.
I Soci della sezione ANFI di Sassuolo con il libro del Generale Butticé
Il Generale Alessio Nardi (al centro), Consigliere del Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, e la signora Tiziana Di Renzo con Alessandro Butticè
Paolo Di Giannantonio, conduttore dei Tg ed inviato speciale RAI
Il Generale Butticé con vecchi redattori della Rivista il Finanziere: il Ten. Carlo De Luca (a sinistra) ed il Consigliere Nazionale ANFI Michele Gianfrancesco