E’ il 2 giugno 1946 – 68° Festa della Repubblica Italiana

Festa-della-Repubblica-ItalianaLA COSTITUZIONE – La Repubblica Italiana nacque il 18 giugno 1946 a seguito del referendum per scegliere la forma di governo. Fino al 1946 l’Italia era stata una monarchia costituzionale basata sullo Statuto Albertino: il capo dello Stato era il Re d’Italia. La titolarità della Corona si trasmetteva ereditaria- mente. Nel 1946 un’Assemblea di statisti e giuristi fu incaricata di scrivere una Costituzione che avesse valore di legge per la corretta gestione dello Stato re- pubblicano e sostituire lo Statuto Albertino. Il 2 giugno di quell’anno, insieme alla scelta sulla forma dello Stato, i cittadini italiani, comprese le donne (nella foto), che votavano per la prima volta, elessero anche i componenti dell’Assemblea Costituente i quali scrissero la nuova Carta Costituzionale, che fu approvata dalla stessa Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947. Il 1º gennaio del 1948, mediante la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Re- pubblica Italiana n. 298, la nostra “Carta Magna” entrò ufficialmente in vigore. É composta da 139 articoli, divisi su due parti, con 18 disposizioni transitorie. La Parte Prima della Costituzione riguarda i diritti e i doveri dei cittadini, la Seconda Parte si occupa dell’Ordinamento della Repubblica. I primi articoli elencano i principi fondamentali dello spirito repubblicano su cui la Costituzione si fonda. Per questo non possono essere modificati. Essi sono: Principio personalista, Principio pluralista, Principio della laicità, Principio lavorista, Principio democratico, Principio di uguaglianza, Principio solidarista, Principio dell’unità e indivisibilità della Repubblica, Principio autonomista, Principio internazionalista e Principio pacifista. Nelle sue linee guida, la Costituzione mette l’accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva.

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italia- no per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giova- ni, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.» (Piero Calamandrei, Discorso ai giovani tenuto alla Società Uma- nitaria, Milano, 26 gennaio 1955)

FORMAZIONE DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE – Dopo sei anni dall’inizio della seconda guerra mondiale e venti anni dall’inizio della dittatura, il 2 giugno 1946 si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea Costituente, con la partecipazione dell’89% degli aventi diritto. Il 54% dei voti (più di 12 milioni) fu per lo stato repubblicano, superando di 2 milioni i voti a favore dei monarchici (che contestarono l’esito). L’Assemblea fu eletta con un sistema proporzionale e furono assegnati 556 seggi, distribuiti in 31 collegi elettorali. Ora i partiti del Comita- to di liberazione nazionale cessarono di considerarsi uguali, e si poté constatare la loro rappresentatività. Dominarono le elezioni con tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito socialista, 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito comunista, 18,9% e 104 seggi. La tradizione liberale (riunita nella coalizione Unione Democratica Nazionale), protagonista della politica italiana nel periodo precedente la dittatura fascista, ottenne 41 deputati, con quindi il 6,8% dei consensi; il Partito repubblicano, anch’esso d’ispirazione liberale ma con un approccio differente nei temi sociali, 23 seggi, pari al 4,4%. Mentre il Partito d’Azione, nonostante un ruolo di primo piano nella Resistenza, ebbe solo l’1,5% corrispondente a 7 seggi. Fuori dal coro, in opposizione alla politica del CLN, raccogliente voti dei fautori rimasti del precedente regime, c’è la formazione dell’Uomo qualunque, che prese il 5,3%, con 30 seggi assegnati. Giorgio La Pira sintetizzò le due concezioni costituzionali e politiche alternative dalle quali si intendeva differenziare la nascente Carta, distinguendone una “atomista, individualista, di tipo occidentale, rousseauiana” ed una “statalista, di tipo hegeliano”. Secondo i costituenti, riferì La Pira, si pensò di differenziarla nel principio che per il pieno sviluppo della persona umana, a cui la nostra costituzione doveva tendere, era necessario non soltanto affermare i diritti individuali, non soltanto affermare i diritti sociali, ma affermare anche l’esistenza dei diritti delle comunità intermedie che vanno dalla famiglia sino alla comunità internazionale. I lavori dovevano terminare il 25 febbraio 1947 ma la Costituente non verrà sciolta che il 31 gennaio 1948, dopo aver adottato la Costituzione il 22 dicembre con 458 voti contro 62. La Costituzione entra in vigore il 1º gennaio 1948.

COMPOSIZIONE E STRUTTURA – La Costituzione è composta da 139 articoli e relativi commi (5 articoli sono stati abrogati: 115; 124; 128; 129; 130), suddivisi in quattro sezioni: Principi fonda- mentali (articoli 1-12); Parte prima: “Diritti e Doveri dei cittadini” (articoli 13-54); Parte seconda: “Ordinamento della Repubblica” (articoli 55-139); Disposizioni transitorie e finali (disposizioni I-XVIII).

CARATTERISTICHE TECNICHE – La Costituzione è la fonte principale del diritto, cioè quel- la dalla quale gerarchicamente dipendono tutte le altre. La Costituzione italiana è una costituzione scritta, rigida, lunga, votata, compromissoria, democratica e programmatica. Si dice che la Costituzione italiana è rigida. Con ciò si indica che: Le disposizioni aventi forza di legge in contrasto con la Costituzione, che è fonte di gerarchia del diritto, vengono rimosse con un procedimento innanzi alla Corte costituzionale; è necessario un procedimento parlamentare aggravato per la riforma/revisione dei suoi contenuti (non bastando la normale maggioranza, ma la maggioranza qualificata dei componenti di ciascuna camera, e prevedendo per la revisione due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi l’una dall’altra). La Costituzione è lunga: contiene disposizioni in molti settori del vivere civile, non limitandosi a indicare le norme sulle fonti del diritto. In ogni caso, da questo punto di vista, è da dire che il disposto costituzionale presenta per larga parte carattere programmatico, venendo così in rilevanza solo in sede di indirizzo per il legislatore o in sede di giudizio di legittimità de- gli atti aventi forza di legge. Votata perché rappresenta un patto tra i componenti del popolo italiano. Compromissoria perché frutto di una particolare collaborazione tra tutte le forze politiche uscenti dal secondo conflitto mondiale. Democratica perché è dato particolare rilievo alla sovranità popolare, ai sindacati e ai partiti politici. Programmatica perché rappresenta un programma (attribuisce alle forze politiche il compito di rendere effettivi gli obiettivi fissati dai costituenti, e ciò attraverso provvedimenti legislativi non contrastanti con le disposizioni costituzionali). Il processo di consolidamento dei principi indicati dalla Costituzione, attraverso la loro concretizzazione nella legge ordinaria (o, talvolta, nell’orientamento giurisprudenziale come è avvenuto per l’attuazione dell’articolo 36 relativamente al principio del trattamento economico minimo previsto per i lavoratori dipendenti), è detto attuazione della Costituzione. Tale processo non è da considerarsi ancora concluso. Il legislatore costituzionale, inoltre, ha ritenuto di ritornare nella Costituzione repubblicana su alcune materie, per integrarle e ampliarle, adottando provvedimenti di legge costituzionale, tipici di tutte le costituzioni lunghe. Tali emendamenti sono integrazioni alla costituzione, approvate con lo stesso procedimento della revisione costituzionale, e costituiscono modificazioni più o meno profonde. Per quanto concerne l’attuazione e l’integrazione delle norme costituzionali, si ricorda ad esempio che la Corte costituzionale non venne attivata che nel 1955 (le elezioni dei giudici tramite una legge non avvenne che nel 1953), che il Consiglio superiore della magistratura venne attivato nel 1958 e che le Regioni ordinarie vennero istituite nel 1970 (sebbene quattro regioni speciali vennero istituite nel 1948 e il Friuli-Venezia Giulia nel 1963); il referendum abrogativo, infine, venne istituito con la legge 352 del 15 maggio 1970.

DIRETTRICI FONDAMENTALI – Nelle linee guida della Carta è ben visibile la tendenza all’intesa e al compromesso dialettico tra gli autori. La Costituzione mette l’accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva. Si ispira anche ad una concezione antiautoritaria dello Stato con una chiara diffidenza verso un potere esecutivo forte e una fiducia nel funzionamento del sistema parlamentare, sebbene già nell’Ordine del giorno Perassi (con cui appunto si optò per una forma di governo parlamentare) venne prevista la necessità di inserire meccanismi idonei a tutelare le esigenze di stabilità governativa evitando ogni degenerazione del parlamentarismo. Non mancano importanti riconoscimenti alle libertà individuali e sociali, rafforzate da una tendenza solidaristica di base. Fu possibile, anche, grazie alla modera- zione dei marxisti, confermare la validità dei Patti Lateranensi e permettere di accordare un’autono- mia regionale tanto più marcata nelle isole e nel- le regioni con forti minoranze linguistiche (aree in cui la sovranità italiana era stata messa in forte discussione durante l’ultima parte della guerra, e in parte lo era ancora durante i lavori costituenti).

I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

I primi dodici articoli della costituzione pongono i cosiddetti “Principi fondamentali” (detti anche Principi supremi). È possibile comunque individuare, in via ermeneutica, come evidenziato in pacifica giurisprudenza costituzionale, ulteriori principi fondamentali nella parte II della Costituzione, come, ad esempio, il principio di indipendenza della magistratura. I principi supremi dell’ordinamento costituzionale (non necessariamente coincidenti con i primi dodici articoli) non possono essere oggetto di modifica attraverso il procedimento di revisione costituzionale previsto dai successivi articoli 138 e 139.

PRINCIPIO PERSONALISTA – La Costituzione coglie la tradizione liberale e giusnaturalista nel testo dell’articolo 2: esso infatti sancisce che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uo- mo”. Tali diritti sono considerati diritti naturali, non creati giuridica- mente dallo Stato, ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è riferita alla parola “riconoscere” che implica la preesistenza di un qualcosa.

PRINCIPIO DI LAICITA’ – Il principio di laicità è stato enucleato dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 203 del 1989; in base ad esso l’ordinamento italiano attribuisce valore e tutela alla religiosità umana come comportamento apprezzato nella sua generalità ed astrattezza, senza alcuna preferenza per qualsivoglia fede religiosa. Scaturisce dal “principio personalista”, di cui all’articolo 2 e dal “principio di uguaglianza” (articolo 3). L’articolo 19, enunciando il diritto di tutti a professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, specifica il riconoscimento della libertà religiosa come diritto inviolabile dell’uomo. Per la mediazione politica dell’Assemblea costituente, per la forte pressione della Chiesa cattolica attraverso i deputati democristiani, si stabilì, all’articolo 7, che Stato italiano e Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti; all’articolo 8 che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere e che a quelle diverse dalla cattolica veniva riconosciuto lo stesso regime di rapporti con lo Stato, per tutelare le loro specifiche esigenze, mediante accodi (le cd. “intese”). Ma anche le formazioni sociali a carattere religioso che non hanno il radicamento sociale vasto e la complessità organizzativa che fa attribuire la qualifica di “confessione religiosa”, godono dell’analoga specifica tutela precisata nell’articolo 20. Questo articolo pone limiti e divieti all’autorità civile, volti ad impedire discriminazioni ed a garantire piena libertà a ogni forma organizzata della fede (istituzioni o associazioni, a carattere ecclesiastico o con fine di religione o di culto.) La legislazione repubblicana e l’elaborazione della dottrina del diritto ecclesiastico italiano, stentano ad adeguare i metodi al nuovo contesto democratico; così risulta ancora dominante la concezione che i diritti degli individui singoli e delle organizzazioni religiose di qualsiasi tipo e natura, invece di godere di una tutela diretta dalla legge, possono trovare tutela solo attraverso l’intermediazione di quei soggetti dominanti che vengono chiamati “confessioni religiose” contemplati nell’articolo 8 e selezionati politicamente dai Governi, perpetuando così il modello del regime dittatoriale dei “diritti riflessi”, per cui solo l’appartenenza agli enti riconosciuti dal fascismo consentiva il godimento dei diritti, attribuiti agli enti e “riflessi” sulle persone che a questi obbedissero.

PRINCIPIO PLURALISTA – È tipico degli stati democratici. Pur se la Repubblica è dichiarata una ed indivisibile, è riconosciuto e tutela- to il pluralismo delle formazioni sociali (articolo 2), degli enti politici territoriali (articolo 5), delle minoranze linguistiche (articolo 6), delle confessioni religiose (articolo 8), delle associazioni (articolo 18), di idee ed espressioni (articolo 21), della cultura (articolo 33, comma 1), delle scuole (articolo 33, comma 3), delle istituzioni universitarie e di alta cultura (articolo 33, comma 6), dei sindacati (articolo 39) e dei partiti politici (articolo 49). È riconosciuta altresì anche la libertà delle stesse organizzazioni intermedie, e non solo degli individui che le compongono, in quanto le formazioni sociali meritano un ambito di tutela loro proprio. In ipotesi di contrasto fra il singolo e la formazione sociale cui egli è membro, lo Stato non dovrebbe intervenire. Il singolo, tuttavia, deve essere lasciato libero di uscirne. I diritti inviolabili sono riconosciuti all’individuo sia considerato singolarmente sia nelle formazioni sociali adeguate allo sviluppo della personalità e finalizzate alla tutela degli interessi diffusi (interessi comuni ai diversi gruppi che si sviluppano in forma associata). Questi gruppi possono assumere diversi aspetti e tipologie, ugualmente rilevanti e degni di tutela per l’ordinamento: associazioni politiche, sociali, religiose, culturali, familiari.

PRINCIPIO LAVORISTA – Ci sono riferimenti già agli arti- colo 1, comma 1 ed all’articolo 4, comma 2. Il lavoro non è solo un rapporto economico, ma anche un valore sociale che nobilita l’uomo. Non è solo un diritto, bensì anche un dovere che eleva il singolo. Non serve ad identificare una classe. Nello stato liberale la proprietà aveva più importanza, il lavoro ne aveva meno. I disoccupati, senza colpa, non devono comunque essere discriminati.

PRINCIPIO DEMOCRATICO – Già gli altri tre principi sono tipici degli stati democratici, ma ci sono anche altri elementi a caratterizzarli: la preponderanza di organi elettivi e rappresentativi; il principio di maggioranza ma con tutela delle minoranze (anche politiche); pro- cessi decisionali (politici e giudiziari) trasparenti e aperti a tutti; ma soprattutto il principio di sovranità popolare (articolo 1, comma 2).

PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA – Come è affermato con chiarezza nell’articolo 3, tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1). È compito dello Stato rimuovere gli ostacoli che di fatto limi- tano l’eguaglianza e quindi gli individui di sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale, comma 2). Nello stesso primo comma dedicato all’eguaglianza dinanzi alla legge, la Costituzione repubblicana richiama la “pari dignità sociale”, andando dunque oltre la mera formulazione dell’eguaglianza liberale. Riguardo al principio di uguaglianza in materia religiosa, l’articolo 8 dichiara che tutte le confessioni religiose, diverse da quella cattolica, sono egualmente libere davanti alla legge.

PRINCIPIO SOLIDARISTA – Vuol dire che lo Stato ha il compito di aiutare le associazioni e le famiglie, attraverso la solidarietà politica, economica e sociale (art. 3 II comma, art.2). Esso infatti deve rimuove- re ogni ostacolo che impedisce la formazione della propria personalità.

PRINCIPIO DELL’UNITA’ E INDIVISIBILITA’ DELLA REPUBBLICA – L’articolo 5 vieta ogni forma di secessione o di cessione territoriale ed è garantito dal sacro dovere di difendere la patria (sancito dall’articolo 52).

PRINCIPIO AUTONOMISTA – Sempre l’articolo 5 che assicura alle collettività territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni) una forte autonomia dallo Stato (con conseguente attribuzione di poteri normativi e amministrativi propri), grazie alla quale i cittadini sono in grado di partecipare più da vicino e con maggiore incisività alla vita politica del Paese. Da una prima lettura di questi principi traspare la volon- tà del Costituente, che aveva vissuto la tragica esperienza dell’oppressione nazi-fascista e della guerra di liberazione, di prendere le distanze non solo dal regime fascista, ma anche dal precedente modello di Stato liberale, le cui contraddizioni e incertezze avevano consentito l’instaurazione della dittatura. Il tipo d’organizzazione statale tracciato dal Costituente è quello dello Stato sociale di diritto che, per garantire eguali libertà e dignità a tutti i cittadini, si fa carico di intervenire attivamente in prima persona nella società e nell’economia. Il principio è rafforzato dall’articolo 57 che prevede l’elezione del Senato su base regionale.

PRINCIPIO INTERNAZIONALISTA – Come viene sancito dall’articolo 10, l’ordina- mento italiano si conforma alle norme del di- ritto internazionale generalmente riconosciute; ciò comporta un “rinvio mobile” ovvero un adattamento automatico di tali norme nel nostro ordinamento. Inoltre l’articolo 11 consente, in condizioni di parità con gli altri stati, limitazioni alla sovranità nazionale, necessarie per assi- curare una pacifica coesistenza tra le Nazioni.

PRINCIPIO PACIFISTA – Come viene san- cito all’articolo 11, “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (ovvero consente l’uso di forze militari per la difesa del territorio in caso di attacco militare da parte di altri paesi, ma non con intenti espansionisti) e accetta una limitazione alla propria sovranità (ad esempio accetta di ospitare sul proprio territorio forze armate straniere) nell’intento di promuovere gli organismi internazionali per assicurare il mantenimento della pace e della giustizia fra le Nazioni”. Si intende comunemente che questa seconda parte consenta all’Italia di partecipare ad una guerra in difesa di altre nazioni con le quali siano state instaurate alleanze (ad esempio in caso di attacco armato ad un paese mem- bro della NATO). Appare invece di controversa interpretazione il fatto se sia rispettoso di questo principio costituzionale il partecipare ad azioni definite come “missioni di pace” e simi- lari, o guerre che non rispondono ad azioni di offesa esplicita (vedasi il caso della guerra d’Iraq del 2003 e della Guerra In Libia del 2011). Si dovrebbe ricordare che oltre all’articolo 11, la cui interpretazione è piuttosto ampia, ve ne sono altri sei che prendono in considerazione la guerra come una concreta possibilità. L’art 27, prevedeva la pena di morte in base al co- dice penale militare di guerra (ora ergastolo). L’art 60, proroga la vigenza di ciascuna camera, in caso di guerra. L’art 78, in cui le camere decretano lo stato di guerra. L’art 87, in cui è il Presidente della Repubblica a dichiarare lo stato di guerra. L’art 103, sulla giurisdizione dei tribunali militari in tempo di guerra. L’art 111, in cui non veniva ammesso ricorso per cassazione su sentenze emesse dai tribunali militari di guerra (ora il ricorso è ammissibile).

DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

La parte prima della Costituzione è composta da 42 articoli, e si occupa dei “Diritti e dei Doveri dei cittadini”.

Rapporti civili – dall’articolo 13 al 28 Le libertà individuali: gli articoli dal 13 al 16 affermano che la libertà è un valore sacro e quindi inviolabile (arti- colo 13), che il domicilio è inviolabile (articolo 14), che la corrispondenza è libera e segreta (articolo 15), che ogni cittadino può soggiornare e circolare liberamente nel Paese (articolo 16). Le libertà collettive: gli articoli dal 17 al 21 affermano che i cittadini italiani hanno il diritto di riunirsi in luoghi pubblici (con obbligo di preavviso all’autorità di pubblica sicurezza), privati e aperti al pubblico (liberamente) (articolo 17), e di associarsi liberamente, che le associazioni che hanno uno scopo comune non devono andare contro il principio democratico e del codice penale (articolo 18), che ogni persona ha il diritto di professare liberamente il proprio credo (arti- colo 19), che ogni individuo è libero di professare il proprio pensiero, con la parola, con lo scritto e con ogni altro mezzo di comunicazione (articolo 21). Il diritto penale: gli articoli dal 22 al 28 affermano i principi e i limiti dell’uso legittimo della forza (artico- lo 23), il diritto attivo e passivo alla difesa in tribunale (articolo 24) (vedi anche Patrocinio a spese dello sta- to), il principio di legalità della pena (articolo 25), le limitazioni all’estradizione dei cittadini (articolo 26), il principio di personalità nella responsabilità penale (articolo 27, comma 1), il principio della presunzione di non colpevolezza (articolo 27, comma 2) ed il principio di umanità e rieducatività della pena (articolo 27, comma 3); infine la previsione della responsabilità individuale del dipendente e funzionari pubblici e organicamente estesa all’intero apparato, per viola- zione di leggi da parte di atto della pubblica amministrazione, a tutela della funzione sociale e dei consociati dagli illeciti, in materia civile(articolo 28, comma 2), nonché, amministrativa e penale (articolo 28, comma 1).

Rapporti etico-sociali – dall’articolo 29 al 34 La famiglia: gli articoli dal 29 al 31 affermano che la Repubblica italiana riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e afferma anche che è di dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli. La salute: l’articolo 32 afferma che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività. Afferma inoltre che “nessuno può essere obbligato a un determinato tratta- mento sanitario se non per disposizione di legge” e che la legge “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. L’arte e la cultura: l’articolo 33 afferma che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La scuola: l’articolo 34 afferma che la scuola è aperta a tutti; quella statale è gratuita; libera e senza oneri per lo Stato quella privata (articolo 33, commi 3 e 4).

Rapporti economici – dall’articolo 35 al 47 L’organizzazione del lavoro: gli articoli dal 35 al 47 affermano che la Repubblica tutela il lavoro e la libertà di emigrazione (articolo 35), il diritto al giusto salario (articolo 36, comma 1), la durata massima del- la giornata lavorativa (articolo 36, comma 2), il diritto/dovere al riposo settimanale (articolo 36, comma 3), il lavoro femminile e minorile (articolo 37), i lavoratori invalidi, malati, anziani o disoccupati (articolo 38), la libertà di organizzazione sindacale (articolo 39), il diritto di sciopero (articolo 40), la libertà di iniziativa economica (articolo 41), la proprietà (articolo 42), la possibilità ed i limiti all’espropriazione (art 43), la proprietà terriera (articolo 44), le cooperative e l’artigianato (articolo 45), la collaborazione tra i lavoratori (articolo 46) ed il risparmio (articolo 47). Se lo stato favorisce l’accumulazione del risparmio privato, impedisce con un’opportuna tassazione che il risparmio non investito rischiosamente possa generare interessi superiori all’inflazione.

Rapporti politici – dall’articolo 48 al 54 Le elezioni: l’articolo 48 afferma che sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età; afferma anche che il voto è personale ed eguale, libero e segreto, e che il suo esercizio è dovere civico. I partiti: l’articolo 49 afferma il principio della libertà di associarsi in partiti e del pluripartitismo politico. Le tasse: l’articolo 53 afferma il dovere di tutti i cittadini di concorrere alle spese pubbliche pagando tasse e imposte (comma 1) ed il principio di progressività della tassazione (comma 2). I doveri: l’articolo 52 afferma il dovere di difendere la patria, mentre l’articolo 54 afferma il dovere di essere fedeli alla Repubblica, alla Costituzione ed alle leggi.

ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA ITALIANA

IL PARLAMENTO – dall’articolo 55 al 82. Il primo titolo riguarda il potere legislativo ed è suddiviso in due sezioni: LE CAMERE – “Il Parlamento della Repubblica Italiana si compone di due Camere: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica” (articolo 55, comma 1); “Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due camere solo nei casi stabiliti dalla Costituzione” (articolo 55, comma 2).

I successivi articoli la Costituzione stabiliscono testualmente che: “La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è 630, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i 25 anni di età” (articolo 56)”. “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di 315, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due la Valle d’Aosta uno” (articolo 57). Inoltre “la ripartizione dei seggi tra regioni, si effettua in proporzione alla popolazione delle regioni” (ar-ticolo 57). “I senatori sono eletti a suffragio universale e direttamente dagli elettori che han- no superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno” (articolo 58). Questo perché i costituenti vollero dare al Senato quel ruolo di “Camera di riflessione” che deliberi sulle leggi già approvate dalla Camera dei deputati, l'”Assemblea nazionale” italiana. Inoltre, nel Senato siedono anche i senatori a vita, cittadini che, pur non essendo eletti, appartengono alla Camera alta perché ex Presidenti della Repubblica (senatori di diritto) o per altissimi meriti in ambito sociale, scientifico, artistico o letterario. Tali cittadini sono nominati senatori dal Presidente della Repubblica in carica, e non possono essere più di cinque, sebbene esista l’interpretazione dell’articolo 59 per cui il numero di cinque valga per ogni Presidente della Repubblica; prevale però la prima interpreta- zione per cui deve ridursi al minimo il numero di cittadini non eletti appartenenti al Senato, in considerazione del ruolo di rappresentanza delle Camere. “La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per una durata di 5 anni. La durata del mandato di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra” (articolo 60). Il periodoin cui le Camere restano in carica è chiamato legislatura, e può anche durare meno dei cinque anni previsti, su decisione del Presidente della Repubblica. Al termine della legislatura, lo stesso Capo dello Stato indice le elezioni, che hanno luogo entro sessanta giorni, e fissa la data della prima riunione delle Camere; nel periodo tra la scadenza della legislatura e la formazione delle nuove Camere, la prorogatio, sono prorogati i poteri delle Camere precedenti, che però sono assai ridotti, essendo ormai scaduta la funzione rappresentativa del popolo. Si noti che la prorogatio scatta implicitamente ed automaticamente il giorno dopo lo scioglimento delle Ca- mere, mentre la proroga deve essere esplicitamente deliberata dalle Camere stesse. Le Camere, che si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e ottobre (unico rimando nella Costituzione repubblicana alle antiche “Sessioni” del Regno, in periodo statutario), possono riunirsi in via straordinaria. L’articolo 64 della Carta descrive invece l’ordinario svolgimento dei lavori parlamentari, prevedendo un particolare atto, un “Regolamento parlamentare”, uno per ciascuna Camera, e che è adottato a maggioranza assoluta, con quindi più “difficoltà” di una legge ordinaria. Essa, in- fatti, è adottata a maggioranza semplice (lil 50%+1 dei presenti). Le sedute sono pubbliche, e possono essere seguite dai cittadini recandosi direttamente nelle sedi parlamentari in Roma (Montecitorio per la Camera, Palazzo Madama per il Senato), dalla web tv messa on line direttamente dalle Camere, tramite altri mezzi messi a disposizione da privati, o leggendo i resoconti parlamentari pubblicati dalle Camere. Il secondo comma dell’articolo 64 prevede che le Ca- mere o il Parlamento in seduta comune possano deliberare di riunirsi in riunione segreta, ma, in periodo repubblicano, ciò non è mai avvenuto (per risalire ad un precedente, bisogna tornare alle sedute della Camera dei deputati del 3 maggio 1866 e del 21 giugno 1917). Problemi di interpretazione ha invece dato il terzo comma dell’articolo 64, che recita: “Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”, ad esempio nel citato caso dei Regolamenti. La prima parte prevede il “quorum”, il numero legale, alla sola presenza del quale l’Assemblea può dire di svolgere una funzione rappresentativa; la seconda invece specifica le modalità di determinazione della maggioranza, il numero minimo di voti che una proposta deve avere per essere approvata: il Regolamento della Camera intende per “presenti” i deputati che hanno votato “sì” o “no” ad una proposta messa ai voti, men- tre il Regolamento del Senato definisce “presenti” tutti i senatori che prendono parte alla votazione, includendo quindi anche gli astenuti: alla Camera, quindi, il deputato che intende astenersi deve prendere parte alla votazione e dichiarare di astenersi, mentre al Senato il senatore che veramente vuole astenersi deve uscire dall’Aula, o comunque non prendere parte alla votazione, nemmeno dichiarando di astenersi, perché in tal caso innalzerebbe la maggioranza, schierandosi così con i senatori che vogliono bocciare la proposta. Infine, l’ultimo comma di questo articolo dà diritto ai membri del Governo, anche non membri del Parlamento, non solo di assistere alle sedute (diritto che gli spetta in quanto semplice cittadino), ma anche di poter parlare nelle Camere a nome dell’Esecutivo. L’articolo 65 delega una legge a determinare i casi di ineleggibilità ed incompatibilità con l’ufficio di membro del Parlamento (è questo un esempio scolastico di riserva di legge), ma specifica direttamente in Costituzione che nessuno può essere contemporaneamente deputato o senatore. Dal principio di “autodichia” derivante dalla divisione dei poteri deriva il diritto che spetta alle Camere stesse di giudicare i titoli di ammissibilità dei loro membri. Tale giudizio è discusso da una Giunta ed eventualmente di- scusso dall’Assemblea plenaria. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (articolo 67). Ciò significa che i parlamentari non sono vincolati al partito sotto il cui simbolo sono stati eletti, e paradossalmente possono passare da un estremo all’altro dell’Aula parlamentare: questo perché i cittadini non votano i partiti, ma i cittadini candidati a diventare parlamentari. L’articolo 68 della Costituzione è invece uno dei più discussi, negli ultimi anni. Esso prevede l’insindacabilità e l’immunità parlamentare: in primo luogo, essi non possono esse- re chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, proprio per quel principio di rappresentanza della volontà popolare ad essi rimessa. I successivi due commi sanciscono poi che se l’Autorità giudiziaria, nelle modalità previste dalla legge di procedura penale, intende procedere ad atti coercitivi nei confronti dei membri del Parla- mento, tale richiesta debba essere approvata dalla Camera cui il parlamentare appartiene. Questo perché in passato era capitato in altri Paesi e in altre epoche – il caso più famoso è quello della Prima rivoluzione inglese – che membri del Parlamento fossero arrestati solo perché non amati dai giudici. I precedenti in cui l’autorizzazione fu concessa sono pochissimi, l’ultimo dei quali si è verificato nella seduta della Camera del 20 luglio 2011 per l’arresto del deputato Al- fonso Papa. L’ultimo articolo della sezione, il 69, prevede l’indennità parlamentare, che non è un semplice “stipendio”, come l’ufficio di parlamentare non è un semplice “mestiere”: l’indennità è concessa per mettere in atto il diritto di tutti i cittadini a svolgere il mandato parlamentare, perché se l’indennità non esistesse solo chi gode già di un reddito sufficiente potrebbe svolgerlo, mentre chi ha invece bisogno di lavorare per avere uno stipendio non può, se non anche per motivi fisici, svolgere il mandato parlamentare (a titolo esemplificativo, questi soggetti dovrebbero andare a lavorare anziché recarsi alla seduta della Camera).

LA FORMAZIONE DELLE LEGGI – dall’articolo 70 al 82. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. Il Presidente della Repubblica – dall’artico- lo 83 al 91. Il secondo titolo riguarda le modalità di elezione, i poteri e le responsabilità del capo dello Stato, garante dell’equilibrio dei poteri. Il Governo – dall’articolo 92 al 100. Il terzo titolo riguarda il potere esecutivo ed è suddiviso in tre sezioni: Il Consiglio dei ministri – dall’articolo 92 al 96. La Pubblica Amministrazione – dall’articolo 97 al 98. Gli Organi Ausiliari – dall’articolo 99 al 100. La Magistratura – dall’articolo 101 al 113. Il quarto titolo riguarda il potere giudiziario ed è suddiviso in due sezioni: Ordinamento giurisdizionale – dall’articolo 101 al 110. Norme sulla giurisdizione – dall’articolo 111 al 113. Le Regioni, le Provincie, i Comuni – dall’articolo 114 al 133. Il quinto titolo riguarda le norme relative ai governi locali: Garanzie Costituzionali – dall’articolo 134 al 139. Il sesto titolo riguarda le garanzie poste per preservare la stessa costituzione ed è suddiviso in due se- zioni: La Corte Costituzionale – dall’artico- lo 134 al 137. Revisione della costituzione e leggi costituzionali – dall’articolo 138 al 139.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’Unità Nazionale, come stabilito dalla Costituzione italiana entrata in vigore il 1º gennaio 1948. È un organo costituzionale che viene eletto dal Parla- mento in seduta comune, integrato da rappresentanti delle regioni, e dura in carica per sette anni. L’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è l’undicesimo a ricoprire la carica. La Costituzione stabilisce che può essere eletto presidente ogni cittadino italiano che abbia compiuto i cinquanta anni di età e che goda dei diritti civili e politici.

Compiti e poteri del presidente della Repubblica

  1. In relazione alla rappresentanza esterna: accreditare e ricevere funzionari diplomatici • ratificare i trattati internazionali, su proposta del governo e previa autorizzazione delle camere, quando occorra • effettuare visite ufficiali all’estero, accompagnato da un esponente del governo • dichiarare lo stato di guerra, deliberato dalle camere – 2. In relazione all’esercizio delle funzioni parlamentari: nominare fino a cinque senatori a vita • inviare messaggi alle camere, convocarle in via straordinaria, scioglierle salvo che negli ultimi sei mesi di mandato (semestre bianco), a meno che non coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi di legislatura • indire le elezioni e fissare la prima riunione delle nuove camere – 3. In relazione alla funzione legislativa e normativa: autorizzare la presentazione in Parlamento dei disegni di legge governativi • promulgare le leggi approvate in Parlamento • rinviare alle camere con messaggio motivato le leggi non promulgate e chiederne una nuova deliberazione (se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata) • emanare i decreti-legge, i decreti legislativi e i regolamenti adottati dal governo – 4. In relazione all’esercizio della sovranità popolare: indire i referendum e in caso di esito favorevole dichiarare l’abrogazione della legge ad esso sottoposta – 5. In relazione alla funzione esecutiva e di indirizzo politico: nominare dopo opportune consultazioni il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri • accogliere il giuramento del governo e le eventuali dimissioni • emanare gli atti amministrativi del governo • nominare alcuni funzionari statali di alto grado • presiedere il Consiglio Supremo di Difesa (CSD) e detenere il comando delle forze armate, benché in qualità di ruolo di garanzia, non di comando effettivo • decretare lo scioglimento di consigli regionali e la rimozione di presidenti di regione – 6. In relazione all’esercizio della giurisdizione: presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) • nominare un terzo dei componenti della Corte costituzionale • concedere la grazia e commutare le pene. Conferisce inoltre le onorificenze della Repubblica Italiana tramite decreto presidenziale.

EMBLEMA REPUBBLICA ITALIANA

Venne adottato il 5 maggio del 1948, con decreto legislativo n. 535. Il bozzetto iniziale fu realizzato dall’artista Paolo Paschetto, vincitore dei due concorsi pubblici indetti nel 1946 e nel 1947, cui parteciparono complessivamente circa 500 candidati con oltre 800 bozzetti. Sostituì, in qualità di simbolo dello stato, il precedente stemma del Regno d’Italia. La stella bianca a cinque punte, detta anche Stella d’Italia, è stata la tradizionale rappresentazione simbolica dell’Italia sin dall’epoca risorgimentale e rimanda alla tradizionale iconografia che vuole l’Italia, rappresentata come un’avvenente donna, cinta di corona turrita (Italia turrita) e sovrastata da un astro luminoso; nell’emblema repubblicano essa è sovrapposta a una ruota dentata d’acciaio, simbolo del lavoro su cui si basa la Repubblica (Articolo 1 della Costituzione) e del progresso. L’insieme è racchiuso da un ramo di quercia, che simboleggia la forza e la dignità del popolo italiano, e da uno di olivo, che rappresenta la volontà di pace della nazione.

Messaggio del Presidente Giorgio Napolitano per la Festa della Repubblica

Buon 2 giugno a tutti gli italiani. Celebriamo quest’anno la Festa della Repubblica con animo più fiducioso. Perché si è fatta strada la necessità di forti cambiamenti in campi fondamentali. Perché l’Italia può parlare a voce alta in Europa e contribuire a cambiarne le istituzioni e le politiche. E infine perché si sono moltiplicate nella nostra società e specialmente tra i giovani le manifestazioni di volontà costruttiva e di spirito d’iniziativa. Sono questi i fatti che devono rendere tutti noi più fiduciosi; sapendo che la fiducia nel futuro è la condizione essenziale per tornare a crescere e a progredire. In questi pesanti anni di crisi l’economia e la realtà sociale del nostro paese hanno conosciuto gravi passi indietro, come dice il livello insopportabile cui è giunta la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Se questa deriva si è fermata, se registriamo segni sia pur deboli di ripresa, il problema è ora quello di passare rapida- mente alle decisioni e alle azioni che possono migliorare le condizioni di quanti hanno sofferto di più per la crisi, e aprire la prospettiva di un nuovo sviluppo per l’Italia. Il da farsi è ormai delineato. Determinanti sono le riforme strutturali tra le quali già in cantiere quelle per le istituzioni e per la pubblica amministrazione, per il lavoro e per un’economia più competitiva. Auspico un confronto civile in Parlamento, una ricerca di intese che è dovuta per ogni modifica costituzionale. E’ però tempo di soluzioni, non di nuove inconcludenze. La strada del cambiamento passa per molte altre innovazioni. Ma proprio perché essa è lunga e complessa, si richiede continuità, non instabilità; tenacia, non ricorrente incertezza. Questa necessità, che ho sempre richiamato, è stata largamente compresa dagli italiani, e lo dico guardando obiettivamente all’insieme delle posizioni politiche che si sono confrontate in occasione della recente consultazione elettorale. Il cammino del nostro paese verso un futuro migliore passa egualmente – non dimentichiamolo – attraverso una lotta senza quartiere alla corruzione, alla criminalità, all’evasione fiscale. Ed è un cammino che non può essere inquinato e deviato da violenze, intimidazioni, illegalismi di nessun genere. A tal fine tutte le forze vitali dello Stato e della società sono chiamate a cooperare. Ecco quel che dobbiamo insieme augurarci nel festeggiare l’anniversario della nascita della nostra Repubblica, della rinascita della nostra democrazia.