Luca Pancalli Presidente del Comitato Paralimpico Italiano

ROMA – Nasceva 60 anni fa

Intervista di Paola Pacifici

Presidente, quando nasce e perché il Comitato Paralimpico Italiano?

Il Comitato Italiano Paralimpico, così come lo conosciamo oggi, nasce dalla Federazione Italiana Sport Disabili con la legge 189 del 15 luglio 2003 e con il successivo decreto di attuazione del 2004. Fu un provvedimento epocale per il nostro mondo. Con esso venne riconosciuta la valenza sociale del nostro organismo sportivo il cui fine è garantire il diritto allo sport in tutte le sue espressioni “promuovendo la massima diffusione della pratica sportiva per disabili in ogni fascia di età e di popolazione” affinché ciascuna persona disabile abbia l’opportunità di migliorare il proprio benessere e di trovare una giusta dimensione nel vivere civile attraverso lo sport quale strumento di recupero, di crescita culturale e fisica nonché di educazione dell’individuo disabile e non. Un ambito molto più ampio, molto più rappresentativo di una realtà, come quella paralimpica, che nel tempo è riuscita a conquistare spazi sempre più significativi all’interno della società, non solo sotto il profilo agonistico-sportivo.

Quante donne, uomini e giovani sono oggi i disabili che rappresentate in tutta Italia, quali sono le maggiori disabilità ed in quale regione?

Si tratta di un dato molto complesso ed eterogeno. Spesso sotto la categoria disabilità vengono annoverate anche tutte quelle persone che per motivi di età vivono una condizione di non autosufficienza. Molte di queste persone non possono praticare attività sportiva. Per focalizzare meglio il nostro ambito di intervento abbiamo chiesto aiuto all’ISTAT, nel 2019. Ne è nato il 1° Rapporto Nazionale sulla Disabilità, prodotto da Istat con la collaborazione di INAIL e CIP, presentato alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Questo Rapporto ci ha evidenziato numeri significativi. Oggi sappiamo, ad esempio, che le persone disabili nel nostro Paese sono 3 milioni e 100mila. Di queste la metà sono, come detto, ultra-settantacinquenni. Sappiamo inoltre che nelle scuole abbiamo circa 300 mila studenti con disabilità. In generale abbiamo una sperequazione nelle politiche assistenziali fra il nord e sud, un dato che purtroppo rispecchia un trend territoriale comune ad altri settori della nostra società.

Per una persona disabile quanto è importante e forse “decisiva” una attività sportiva?

Ritengo che per qualsiasi persona, con o senza disabilità, la socialità e la piena inclusione siano elementi fondamentali per una vita dignitosa. Lo sport, da questo punto di vista, può offrire opportunità immense. Per una persona con disabilità lo sport può essere la porta di accesso a un mondo nuovo, ricco di opportunità, senza tener conto poi dell’indiscutibile effetto positivo su salute e benessere psico-fisico. Perché lo sport più di altri settori della nostra società, ti dà la possibilità di fissare degli obiettivi partendo dalle proprie abilità, qualunque esse siano.

Chi è il più “giovane” ed il più “grande” che fa parte del Comitato?

Mi consenta una risposta un po’ più generica, anche un pochino retorica, ma che ritengo molto importante. Il più giovane appartenente al movimento paralimpico italiano è uno fra quei ragazzi che nelle scuole elementari oggi ha cominciato a sperimentare qualche disciplina sportiva. Magari praticando la pallavolo da seduti (sitting volley) durante l’ora di educazione fisica. Il più grande non esiste. Perché attraverso lo sport ci mantiene giovani nel corpo e nello spirito. Noi ci definiamo ‘famiglia paralimpica’. In questo movimento, infatti, ci sentiamo tutti parte di una comunità coesa e con un medesimo obiettivo: dare vita a una silenziosa rivoluzione culturale che possa cambiare per sempre la percezione della disabilità.

C’è differenza, a livello di legge, protezione e diritti fra i disabili italiani, europei ed il resto del mondo?

Non c’è dubbio che il nostro Paese e in generale l’Europa abbiano, negli ultimi decenni, prodotto normative molto avanzate sul fronte della salute, dell’occupazione, della socialità. Nel resto del mondo lo scenario è molto diversificato. L’unica cosa che posso dire, da sportivo, è che tutti i Paesi extraeuropei che hanno ospitato una Paralimpiade sono partiti da condizioni di scarsa attenzione nei confronti delle persone disabili e dopo l’evento ne sono usciti cresciuti dal punto di vista civile. È quella ciò che chiamiamo la ‘legacy’ dei Giochi Paralimpici.

Quale nazione è più sensibile e li tutela di più?

Non amo fare classifiche, le trovo poco utile alla causa. Posso solo dire che in questi giorni abbiamo celebrato i 60 anni dei Giochi Paralimpici di Roma 60, la prima Paralimpiade della storia. Da lì mosse i primi passi il movimento paralimpico internazionale. Quell’evento nacque grazie al lavoro di due straordinari medici, sir Ludwig Guttmann e Antonio Maglio che trovarono nei rispettivi Paesi, la Gran Bretagna e l’Italia, il necessario supporto dei governi e la giusta attenzione.

Lo sport è una “rivalsa” e una dimostrazione pratica su quella vita che non li rende uguali (solo nei movimenti) agli altri?

Rivalsa è, a mio avviso, un termine che ha una connotazione negativa. I percorsi degli atleti paralimpici non sono uguali fra loro. Esistono persone con disabilità motorie, sensoriali, intellettive. Lo sport, a mio avviso, è uno strumento eccezionale per affermare un diritto universale, quello a una vita appagante e dignitosa per tutti, senza differenze.

Quali gli sport che vengono maggiormente scelti… o è la loro disabilità che sceglie?

In termini squisitamente numerici gli sport con più praticanti sono quelli rivolti a persone con disabilità intellettive. Fra le discipline, invece, le più scelte – in genere – sono quelle che fanno parte dei percorsi riabilitativi. Penso ad esempio al nuoto, al tennistavolo, all’atletica o al basket in carrozzina.

Quante medaglie d’oro, d’argento e di bronzo sono il vostro “importante bottino”?

Le nostre medagliate più pregiate sono i sorrisi dei ragazzi e delle ragazze che con lo sport ritrovano la gioia in molti casi perduta dopo un evento traumatico. Questo è per noi l’aspetto più importante. Dal punto di vista prettamente agonistico il nostro obiettivo è sempre quello di migliorarci. L’auspicio, quindi, è che Tokyo posso portare anche solo una soddisfazione in più rispetto a Rio che pure ha rappresentato per noi un’edizione da record.

Qual è il “carattere” del disabile?

Non esiste un carattere del disabile. Esistono le persone. E come tali ognuno è espressione di unicità.

Presidente, lei, Luca Pancalli un grande esempio di volontà, di tenacia e di ottimismo e tutti i suoi riconoscimenti e medaglie  parlano per lei. Ma “una disabile” ed “un disabile” di che parola ha bisogno..?

Paralimpici. Dopo una battaglia culturale durata decenni siamo riusciti a far inserire nel vocabolario Treccani il termine paralimpico/a per indicare non solo coloro che prendono o che hanno preso parte a una Paralimpiade ma tutte le persone con disabilità che praticano sport. In questo modo abbiamo voluto spazzare via quella brutta abitudine di identificare un individuo attraverso le proprie abilità.

Il Presidente durante la celebrazione del 60° anniversario